Quando la terra sospira, il caldo fascino dell’energia geotermica

“C’era una volta, in un ventoso lembo di terra, una donna dall’aria minuta e dai lunghi capelli soffici. Si chiamava Gudrun, ma tutti la conoscevano come Gunna.

Ogni giorno, Vilhjamur Jonson, signore della fattoria Kirkjabol, la perseguitava intimandole di pagare i debiti che la poveretta aveva contratto con lui. Un giorno, Vilhjamur, uomo corpulento e arrogante, entrò con prepotenza nella misera casa di Gunna e le portò via l’unica cosa che la donna possedesse: un malridotto vaso, nero come la pece.

Da quel momento Gunna impazzì e dopo poche ore la sua follia la portò alla morte. Il giorno del suo funerale la bara divenne incredibilmente leggera come se fosse piena di fiori. Mentre gli uomini scavavano la fossa per Gunna il vento cominciò a ululare furente. Improvvisamente, una voce roca simile a quella di un demone rabbioso, fendette l’aria e raggelò il sangue dei becchini che, terrorizzati, lasciarono cadere le pale. “Non scavate una fossa profonda: non ho tempo di sdraiarmi!” gridò la voce di Gunna.

Il giorno seguente, gli abitanti delle fattorie vicine trovarono a Skagi il corpo senza vita di Vilhjamur in una posizione innaturale, con le ossa rotte. Presto, la furia di Gunna colpì anche la vedova del signore di Kirkjabol. Il fantasma cominciò ad aggirarsi inquieto per le brughiere uccidendo persone e bestie indifferentemente. Chiunque si avventurasse a Skagi impazziva.

Allora per mettere fine alla maledizione gli abitanti chiamarono un prete che diede loro una palla di filo e disse: “Fate in modo che lo spirito di Gunna ne afferri l’estremità. Una volta dipanato il filo, rimarrà prigioniera nel luogo stesso in cui lo ha afferrato”. Il fantasma della donna cadde nella trappola e fu inghiottito da una pozzanghera di fango bollente. Da quel momento uomini e donne chiamarono quel posto “Gunnuhver”: le solfatare di Gunna. Si dice che ancora oggi, se si tende l’orecchio, si possono sentire i sospiri della povera Gunna“.

Così narra la leggenda legata alle Gunnuhver, nel sud della penisola di Reykjanes. Gli echi di questa storia inquietante fanno da sfondo alle solfatare ai margini delle scogliere di Grindavik.

Per arrivarci, percorro una strada tortuosa di terra battuta che si snoda fino ad arrivare al faro bianco e rosso di Reykjanesviti. Il percorso termina poco pittorescamente in un grande spiazzo sterrato oltre il quale le onde blu si infrangono spumose sulle rocce. In lontananza si intravede l’isolotto di Eldey che emerge dall’acqua: uno sperone nero che ospita la più grande colonia di sule del mondo, ma è così lontano dalla costa, 14 chilometri, che non si intuisce nulla della starnazzante vivacità che lo popola.

Mi incammino lungo il breve sentiero che conduce a Gunnuhver e, ancor prima di arrivarci, vedo terra rossa e fumo. Quasi non ci sono turisti, le solfatare di Gunna non sono molto famose o comunque, posizionate lontane dalla statale 1 in un angolo semisconosciuto della poco visitata penisola di Reykjanes, non attirano un gran numero di visitatori. Meglio. Posso passeggiare pressoché indisturbata lungo le scricchiolanti passerelle di legno che si addentrano tra i fumi caldi.

L’atmosfera è quasi mistica e la terra sembra la tavolozza di un esperto astrattista: i colori passano come per osmosi da un rosso intenso a un giallo paglierino fino a sfumare al grigio profondo del fango che ribolle. L’aria calda esce impetuosa dal buio mondo sotterraneo della terra e viene spazzata via con impazienza dal vento freddo. Mi appoggio alla ringhiera di legno ad osservare il silenzioso impeto delle solfatare e mi pare di udire dei soffici suoni, come dei lunghi sospiri. Allora mi ricordo della leggenda. Forse è Gunna con il suo triste lamento che esce dalle viscere della terra. O forse è solo il vaporoso sospiro della terra.

Il miglior modo per fare esperienza dell’energia del sottosuolo islandese è alla Laguna Blu. Questo luogo, dal nome evocativo, è un lago creato dagli scarichi dell’impianto geotermico Svartsengi che rilascia un’acqua lattiginosa, caldissima e ricca di sostanze minerali che sembrerebbero un toccasana per i disturbi dermatologici. Già dalla strada si intravedono i densi fumi bianchi della struttura che si stagliano contro il cielo grigio e, una volta arrivati nel centro termale, ci viene consegnato un braccialetto elettronico in gomma resistente all’acqua, con il quale il visitatore “paga” ulteriori servizi. Ogni acquisto viene registrato sul braccialetto e all’uscita si salda il conto. La temperatura esterna è terribilmente bassa, mentre nell’acqua turchese, che sta a 38 gradi, si sta meravigliosamente.

DSC_0376p

La geotermia è un fattore fondamentale per l’Islanda: il 90% degli edifici viene riscaldato utilizzando questa energia rinnovabile a basso costo. Per capire come funziona una centrale geotermica mi reco al moderno impianto di Hellisheidi, nei pressi di Hveragerdi pochi chilometri a sud ovest della capitale. Questa struttura del 2006 infatti, funge anche da museo per chi vuole saperne di più sulla produzione di energia in Islanda.

Gli schermi e le illustrazioni spiegano il procedimento dall’estrazione del calore alla distribuzione dell’energia e alla conservazione dell’acqua calda negli enormi serbatoi del Perlan, sulla collina di Oskjuhlid. Tutto inizia nei profondi pozzi da cui le pompe attingono l’acqua che si trova a temperatura di ebollizione. Acqua calda e vapore vengono separati, dopodiché il vapore viene canalizzato in turbine che serviranno per la produzione di energia elettrica, mentre l’acqua calda è utilizzata per scaldare quella fredda proveniente dai ghiacciai. Infine, raggiunti gli 85°C, l’acqua viene fatta passare nei tubi di distribuzione, studiati per disperdere meno calore possibile (non più di un grado), che la porteranno nelle case islandesi.

DSC_0422p

 

Lascia un commento