Siberia, questa sconosciuta terra di nessuno

Dal finestrino incrostato di pioggia e polvere del treno vedo scorrere infiniti giorni di paesaggi fatti di puntute foreste di verdi betulle, paludi gialle su cui aleggia fumosa la bruma del mattino e, di tanto in tanto, qualche solitaria ciminiera che spicca come un alto minareto silenzioso tra le praterie acquitrinose.

È questa dunque la Siberia? Silenzio e immensità che il treno taglia sfrecciando risoluto verso la meta. La Siberia nell’immaginario collettivo dell’Occidente è percepita come la terra di nessuno: per gli Europei la Russia finisce sugli Urali, al di là c’è il nulla, solo lande remote popolate da orsi nascosti in boschi ricoperti di neve e disseminati di gulag. Hegel, ad esempio, eliminò a pie pari la Siberia dal suo sistema storico-filosofico scrivendo: “Per noi essa è fuori del campo d’osservazione. Tutta la configurazione del paese non è tale da poter essere teatro di civiltà storica”. Nonostante gli spazi vuoti e il fascino della natura selvaggia dentro questi paesaggi inospitali c’è molta più storia di quello che pensiamo. 

È vero che la colonizzazione di questa enorme parte di Russia fu fortemente incoraggiata da quasi tutti i governi russi, dagli zar in poi. È vero anche che in epoca sovietica il Partito vi trasferì forzatamente milioni di cittadini per popolare le città siberiane, alcune delle quali tirate su servendosi di volontari e prigionieri politici condannati ai lavori forzati nei gulag. La Siberia però, per il popolo russo ha rappresentato e rappresenta qualcosa di più di chilometri di lande inospitali. Già la conquista siberiana è un’interessante pagina di storia, animata da pionieri cosacchi, ricercatori d’oro, ribelli, avventurieri e fuorilegge in fuga, un’epopea che ricorda le avventure del Far West americano.

img_3372pL’avanzamento russo in Asia inizia grazie ai cosacchi che con tenacia e brutalità aprirono la strada alla conquista della Siberia. Furono loro a popolare la Russia asiatica e a fondarvi i primi insediamenti. Con il loro contributo gli slavi riuscirono poco a poco a prendere il posto dei mongoli, rovesciando l’equilibrio che per secoli aveva ribadito la presenza delle popolazioni centro asiatiche in Siberia.

Prima dei russi infatti, su questa terra erano passate le orde di Genghis Khan, Tamerlano, i tatari, ma il loro dominio su queste terre finì con l’avanzata dei cosacchi guidati da Yermak Timofeevic, un brigante del XVI secolo che, in fuga dalla legge, si addentrò nella taiga siberiana e portò avanti l’espansione russa verso est.

Dopo i cosacchi fu il turno dei mercanti occidentali attratti dalla potenzialità del territorio. Poco a poco il mercato si diversificò e le città della Siberia orientale divennero i punti nevralgici di smercio del tè e proveniente dalla Cina, pellicce e legname.

Poi arrivarono contadini e boscaioli e infine, quando nell’Ottocento lo zar eliminò le limitazioni agli spostamenti interni con l’intento di incoraggiare la colonizzazione della Siberia, giunsero anche i ricercatori d’oro attratti dalle ricchezze minerarie. L’impero zarista voleva consolidare la propria presenza in questo vastissimo e spopolato territorio e, spingere la gente a trasferirsi a est degli Urali, era il migliore modo per assicurarsi il controllo di questa terra ricca di risorse. Tra il 1860 e il 1890 circa 500.000 persone si spostarono in Siberia e tra il 1891 e il 1912 cinque milioni vi si trasferirono. La Siberia e il Far East (come è chiamato l’ultimo lembo di terra siberiana) divenne il Klondike russo.

img_3419p

La Transiberiana fu uno dei passi verso la colonizzazione russa della Siberia. Il treno permise collegamenti più rapidi da una parte all’altra di questo sconfinato paese: persone, prigionieri, merci, soldati e materie prime hanno viaggiato lungo questa tratta ferrata.

La Siberia e la ferrovia servirono a Stalin anche per dividere le minoranze etniche dell’Unione Sovietica e creare un complesso rimescolio di popoli. Fu così che in anni di deportazioni interne, l’Urss sradicò intere popolazioni dalla propria terra, cultura e lingua plasmando un uomo spaurito e disarmato impiantato in un territorio a lui estraneo, per farne un obbediente homo sovieticus al servizio dello Stato. Lo scopo di tale politica di colonizzazione e deportazione fu utile all’Unione Sovietica per disseminare la Siberia di città e nuovi centri industriali con il fine di rafforzare la presenza russa in questa porzione di Asia. Questo è ciò che accadde a Yakutsk (sperduta cittadina conosciuta come “polo del freddo”), Khabarovsk e Komsomolsk na Amure. Quest’ultima, in particolare, prende il nome dal Komsomol, l’Unione Comunista della gioventù sovietica, lampante esempio di come in piena epoca staliniana i reclutamenti spontanei funzionassero appieno; i giovani venivano incoraggiati a suon di slogan propagandistici a trasferirsi in Siberia per diventare parte attiva nella costruzione del sogno sovietico.

img_3962p

Una delle città sulla ferrovia in cui si respira un’atmosfera da luogo ai confini del mondo è Ulan Ude, la capitale della Buriazia, regione russa a maggioranza mongola. Arrivo nella cittadina a pochi chilometri dal confine mongolo di buon mattino quando le strade ancora deserte le danno un’aria ancor più desolata. Una sola grande piazza in cui campeggia la scultura di una massiccia quanto enorme testa dell’immancabile Lenin e una lunga strada pavimentata fiancheggiata da basse casette dall’aria vagamente storica. Oltre sorge la periferia, l’ennesimo sgraziato ammasso di condomini decadenti in stile tardo sovietico, circondata da dolci colline gialle che richiamano alla mente la vicina Mongolia.

Fondata da esuli cosacchi nel 1666, questa città prosperò grazie al commercio di pellicce e tè e al contributo economico dei mercanti locali che finanziarono le infrastrutture quali ponti, lanterne per l’illuminazione pubblica, strade e sistema idrico. Ma la vera svolta avvenne nel 1899 quando a Ulan Ude arrivò il primo treno. La tratta che la ferrovia doveva percorrere fu oggetto di attenti studi da parte degli ingegneri e, che la Transiberiana dovesse fare tappa a Ulan Ude, era solo una delle tante possibilità. Dopo valutazioni e ripensamenti vari fu infine deciso di far passare la via ferrata a Ulan Ude piuttosto che a Kyakhta, un’altra ricca città carovaniera qualche chilometro più a sud. Kyakhta, tagliata fuori dal percorso ferroviario finì per languire dimenticata, mentre la Transiberiana decretò la vittoria di Ulan Ude e Irkutsk, divenute le due principali città dell’Oriente siberiano.

img_3437p

Dopo un paio di giorni decido di partire nuovamente. Voglio proseguire verso est e raggiungere Chita, conosciuta come la città dei decabristi, (gli ufficiali dell’impero zarista che si ribellarono a Nicola I), a solo una notte di treno di viaggio.

Trascino la mia valigia lungo le sconnesse piattaforme asfaltate della stazione di Ulan Ude. Mi sento spaesata. L’orologio della stazione segna l’orario di Mosca, così come quello riportato sul mio biglietto: tutti i treni russi fanno riferimento al fuso orario moscovita. Questo, unito le indicazioni scritte in cirillico, mi dà ancora un po’ di confusione. Non riesco a capire da che binario parte il mio treno, allora chiedo a una provodnitsa, questa figura a metà tra il controllore l’hostess e la donna delle pulizie, che lavora sui treni. La donna, una signora tarchiata con le labbra dipinte in un acceso rosso, si mostra molto disponibile, ma mi spiega tutta la procedura in russo. Vedendomi ancora più confusa, mi accompagna infine al binario e, come fossi una bambina dura di comprendonio, in un russo lentamente scandito mi dice di aspettare lì. Mi scruta per qualche secondo, dopodiché non convinta che io abbia capito come sopravvivere al sistema ferroviario russo, mi affida a un omone in canottiera e bermuda dalla barba nerissima per assicurarsi che io prenda il giusto treno.

Dopo un paio di ore arriva il mio treno e l’omone baffuto esegue pedissequamente gli ordini accompagnandomi alla porta ed affidandomi alla provodnitsa del mio vagone. La donna guarda con i suoi occhi azzurro ghiaccio la mia foto nel passaporto, poi me, di nuovo la foto; non sembra convinta che la ragazza che ha di fronte sia la stessa che la fissa da dentro il documento. Legge il mio nome. “Italianka?” (“italiana?”) mi chiede seria. “Da” rispondo io. Infine infila il biglietto nel passaporto e me lo porge dicendomi sbrigativamente qualcosa in russo, che suppongo sia il numero del posto a me riservato, e passa al prossimo passeggero.

img_3489p

 

2 pensieri riguardo “Siberia, questa sconosciuta terra di nessuno

  1. …io ci ho messo ben 7 anni per decidermi a farlo, quindi mi sento di dire che non è mai troppo tardi! 🙂
    A breve uscirà anche l’articolo “pratico” con suggerimenti e domande da porsi per fare la Transiberiana, sperando di aiutare tutti voi che sognate questo viaggio a realizzarlo.

    "Mi piace"

Lascia un commento