La “Santa Russia”

La “Santa Russia”

“Hai comprato l’icona di Sant’Antonio? – mi chiede per l’ennesima volta mia madre al telefono – È il protettore della nostra famiglia; prendine una anche per te” mi consiglia.

Così comincia la mia missione (tutto sommato molto semplice), in questa ultima tappa del mio viaggio russo: acquistare un Sant’Antonio dipinto su legno. La ricerca dell’icona però mi porterà a scoprire un significativo aspetto della cultura russa, ovvero il rapporto tra potere ecclesiastico e temporale. Il caso vuole che mi trovi proprio a Veliky Novgorod, “la città delle icone”, un’affascinante cittadina a sole tre ore di treno da San Pietroburgo.

Convinta a portare a termine la missione, entro quindi in una chiesa qualsiasi. Le chiese ortodosse sono splendide: ampie, solitamente sgombre da panche, con pareti cariche di icone pittate in oro e i soffitti sormontati da altissime cupole da cui scendono maestosi lampadari dorati. I volti di innumerevoli santi mi guardano con i loro grandi occhi bizantini che mi paiono velati di una triste consapevolezza, mentre il suono solitario dei miei passi riecheggia nel silenzio. All’interno delle donne velate si fanno il segno della croce alla maniera ortodossa: tre volte in senso contrario. Alcune pregano davanti alle grandi icone, altre accendono delle candele.

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Mi avvicino all’anziana signora che presiede il chiosco degli articoli sacri, che in Russia è presente in ogni chiesa. Ha gli occhi grigi e acquosi, solcati da rughe e in testa porta un velo blu con piccoli fiori rossi ricamati. Le dico, nel mio russo dal buffo accento, che vorrei acquistare una piccola icona di Sant’Antonio. La vecchietta, che non ha molti denti in bocca, si mostra molto loquace anche se è evidente che non parlo la sua lingua. Ci tiene a spiegarmi qualcosa e con un po’ di intuito e tanti gesti capisco che mi vuole darmi informazioni sulla tradizione dei dipinti dei santi.

Le icone nella religione cristiano ortodossa non sono mere rappresentazioni estetiche utilizzate per abbellire i luoghi sacri: non hanno un puro valore estetico né sono percepite come idoli, ma servono da fonte di venerazione per i fedeli. Ad essere venerata però non è l’immagine in sé, ma ciò che in essa è raffigurato. Nel primo cristianesimo le icone avevano la doppia funzione di ispirazione alla preghiera e “Sacra Scrittura” per gli analfabeti.

Ogni icona è benedetta, quindi sacra, e i dettagli, dalla posa dei santi ai colori con i quali vengono dipinti, sono carichi di significati simbolici; il blu rappresenta la divinità, il giallo la luce divina, il nero è la mancanza di vita, mentre il bianco la purezza e il rosso l’umanità.

La graziosa Veliky Novgorod è generalmente detta “la città delle icone” perché la loro produzione ha qui una lunga tradizione, supportata da un’antica storia. Vuole la leggenda che alla vigilia della battaglia contro l’esercito del principe di Sudzal, il vescovo di Novgorod ebbe una visione: un’icona della Vergine avrebbe salvato la città dalla distruzione. Fu così che l’icona della Cattedrale di Santa Sofia fu posta su una torre della fortezza. Durante gli scontri l’immagine sarebbe stata colpita da una freccia che la fece lacrimare e la spostò con il volto verso l’interno delle mura. Da quel momento le sorti della battaglia si rovesciarono. L’esercito avversario cominciò a delirare e i soldati presero a combattere l’uno contro l’altro. Grazie all’icona della Vergine, oggi gelosamente custodita come simbolo della città, Veliky Novgorod fu salvata dall’assedio.

DSC_1855p.jpgOvviamente il presunto potere magico delle icone non poté nulla di fronte alla blasfema furia devastatrice del comunismo. Si stima che durante gli anni dell’Urss, furono distrutte circa trenta milioni di icone, che vennero utilizzate con calcolato sadismo come bersagli di tiro, taglieri, legna per il fuoco e materiale di costruzione. Bruciate, scheggiate, calpestate, tagliate: nell’impero sovietico non c’era posto per immagini sante che non fossero quelle legate al marxismo e ai suoi leader.

Ma non fu sempre così, anzi. Il concetto russo di potere politico è strettamente legato a quello religioso e in questo, ancora una volta le icone la fanno da protagoniste.

Sembra che Andrej, principe della città di Vladimir, di ritorno dalla capitale ucraina, riportò in città l’icona della Vergine che era stata donata al principe di Kiev da Costantinopoli. Secondo la leggenda la “Vergine di Vladimir”, come è oggi chiamata, sarebbe apparsa al principe coprendolo con il suo velo per proteggere lui e la popolazione russa.

L’alleanza tra potere temporale e religioso risale però al 1326 quando Ivan I, principe di Mosca, offrì protezione al metropolita della Chiesa di Rus’ in fuga da una Kiev devastata dalle invasioni. Alcuni principi della Rus’ si allearono a Dimitri Donskoj, nipote di Ivan, contro i tatari. La spedizione, benedetta dalla Chiesa, assunse i contorni di una vera e propria crociata contro gli invasori. La vittoria che gli eserciti alleati riportarono fu la prima grande vittoria sulle popolazioni centro asiatiche e rivestì un ruolo fondamentale nell’alleanza tra il principato di Mosca e la Chiesa ortodossa.

Quando poi nel 1395 Mosca fu minacciata dalle orde di Tamerlano, la Vergine di Vladimir fu trasferita in città per proteggere l’odierna capitale russa. Funzionò: Mosca fu risparmiata e mai conquistata dai tatari. Nel 1453 la caduta di Costantinopoli per mano dei turchi segnò i successivi sviluppi dell’alleanza tra la Chiesa russa e Mosca, rimasto l’ultimo principato ortodosso indipendente dagli ottomani. Il principe moscovita fu così designato come “ultimo imperatore dei cristiani” e Mosca divenne la Terza Roma, capitale della “Santa Russia”.

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