Ekaterinburg, gli ultimi giorni dei Romanov

Ekaterinburg, gli ultimi giorni dei Romanov

Dopo sei intensi giorni di treno arrivo infine a destinazione.

Scendo alla stazione di Ekaterinburg in una mattina nuvolosa in cui la città ancora dorme sotto il cielo lattiginoso e un vento fresco increspa la superficie del fiume. La città è la capitale degli Urali, la catena montuosa a cavallo di due continenti: quel bordo immaginario che divide la Russia europea da quella asiatica. Ekaterinburg nata durante il regno di Pietro il Grande, deve la sua fioritura alla ricchezza del sottosuolo della regione. Le ricche miniere di ferro, rame carbone e pietre preziose ebbero un ruolo decisivo nello sviluppo di Ekaterinburg che è ancora oggi un importante polo industriale e di ricerca in campo ingegneristico.

È qua, in questa città che è un misto di eleganza russa, modernità sovietica e scintillanti grattacieli di vetro che convivono in armonia senza litigare, che furono assassinati i Romanov, ultima dinastia di zar.

img_4035pL’epopea di Nicola II e la sua famiglia inizia quando il 1 marzo 1917, in seguito alla Rivoluzione di Febbraio, fu costretto ad abdicare. Solo l’anno prima lo zar aveva inaugurato la ferrovia Transiberiana, una sfida ingegneristica che era costata all’Impero immensi sacrifici. Per ironia della sorte proprio attraverso quella stessa strada ferrata, che era diventata la nuova gloria russa, Nicola II e la sua famiglia, la zarina e i cinque figli (le quattro belle principesse Olga, Tatiana, Maria e Anastasia e il giovane Aleksey), fu trasferita in treno a Tobolsk, a tre giorni di treno da San Pietroburgo.

Allontanati da un mondo fatto di lussi e potere e relegati in una sperduta cittadina siberiana, la famiglia si ritrovò ad alloggiare in un’abitazione che nulla aveva a vedere con gli standard dei palazzi di San Pietroburgo dove le quattro sorelle, figlie della casa imperiale più ricca al mondo, si ritrovarono a condividere un unico letto per la notte.

Così cominciò la lunga prigionia dello zar che costrinse la famiglia reale a una vita ordinaria e noiosa. Quando il paese sprofondò nella terribile guerra civile tra bolscevichi e anticomunisti, chiamati “i bianchi”, le forze comuniste, terrorizzate dalla possibilità che i loro avversari potessero salvare lo zar, trasferirono la famiglia reale a Ekaterinburg. Qui furono rinchiusi nella casa requisita a un ingegnere locale e fu loro negata la possibilità di guardare fuori dalle finestre, i cui vetri furono addirittura oscurati.

E proprio nella cantina di questa stessa casa nella notte del 16 luglio 1918 la famiglia reale e alcuni membri della servitù trovarono la morte, uccisi per volere dei leader bolscevichi. I corpi vennero gettati in una miniera abbandonata nella foresta. Così il mondo dello zar svanì per sempre nella violenza della Rivoluzione. Sul luogo in cui fu assassinato lo zar sorge oggi, in onore dei Romanov, una splendida chiesa in stile bizantino, le cui cupole dorate scintillano sotto i raggi di un timido sole che verso il tardo pomeriggio fa capolino tra le nubi.

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Raggiungo la via principale, un ampio boulevard fiancheggiato da imponenti palazzi ricordo dell’era sovietica in cui spicca l’immancabile statua di Lenin. Il padre della Rivoluzione si erge accigliato su un piedistallo di pietra grigia proprio al lato del centro commerciale Europa e punta la mano aperta, come in segno di invito, verso strada pedonale di fronte.

Seguo le sue indicazioni e mi addentro nella via pedonalizzata che è tutta un susseguirsi di negozi, cinema, ristoranti e qualsiasi altro moderno tempio del consumismo. Una lunga arteria in cui si ha solo l’imbarazzo della scelta su come spendere i propri soldi. Vetrine eleganti, manichini anoressici dalle anonime facce serie, souvenir e giocattoli made in China, fast food, banche. Ciò che rimane dopo tanto spargimento di sangue in nome di rivoluzioni e ideologie sono solo le statue di Lenin e altri sbiaditi simboli delle mitologie culturali sovietiche, che spiccano come perdenti ricordi dimenticati nello spensierato oceano delle trionfanti favole consumiste.

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