Mito e potere, due facce della stessa medaglia

Mito e potere, due facce della stessa medaglia

In Russia il potere politico è sempre venuto dall’alto e storicamente ha avuto un carattere sacro. Prima dell’avvento del comunismo infatti lo zar era considerato santo, l’eletto e i suoi ritratti erano appesi nelle chiese. Questa sua doppia natura, politica e sacra, ne legittimava il potere.

I bolscevichi si inserirono alla perfezione in questa tradizione. Nella concezione materialistica in cui Dio, cacciato dalla storia umana e politica, non era ammesso, per colmare il vuoto lasciato dalla sacralità dello zar il Partito creò nuovi punti di riferimento. Il monarca fu sostituito dai leader comunisti e alla popolazione furono propinate nuove favole, quelle che sarebbero poi diventate le mitologie culturali sovietiche.

img_4147p

Con l’adozione dell’ideologia marxista in Russia si verificò qualcosa di simile al fenomeno del primo cristianesimo sui territori dell’Impero Romano quando la nuova religione si innestò sul paganesimo, assorbendo e trasformandone i miti preesistenti e convertendo i vecchi templi in nuovi luoghi di culto. Durante il comunismo venne costruita una nuova impalcatura sacra e intoccabile, mentre le chiese vennero trasformate in magazzini, uffici amministrativi o addirittura musei dell’ateismo. Dietro a queste blasfeme metamorfosi non si celava soltanto il piacere irriverente dei nuovi leader nei confronti dell’istituzione ecclesiastica e il disprezzo materialistico che i bolscevichi covavano per la religione, ma anche la chiara volontà di trasmutare il potere divino nel potere politico del Partito. Così, quella che una volta era la casa del Signore diventava la sede del governatore locale o, per ironia della sorte, il posto in cui si educava la gente a non credere in alcun dio.

I ritratti dello zar vennero rimossi dalle pareti e al loro posto si andarono accumulando nuovi simboli sacri, nuovi volti “santificati”. Ancora una volta i bolscevichi non inventarono nulla, sostanzialmente il paese passò dal cristianesimo di matrice ortodossa al “marxismo alla russa”: più che la struttura religiosa, a cambiare furono i soggetti e i riti.

img_2293pIn questa ottica non è affatto un caso se Lenin, una volta morto, fu fatto reliquia. Il suo corpo mummificato, neanche fosse un faraone, è ancora oggi custodito nel mausoleo a forma piramidale ai piedi delle alte mura del Cremlino, sulla Piazza Rossa di Mosca. Dentro questa piramide di marmo nero si possono vedere “le sacre spoglie” del padre della Rivoluzione. Lo si contempla in silenzio, nella penombra appena rischiarata dalla luce della teca in cui il corpo è custodito. Ci si cammina intorno velocemente con le guardie che incitano i pellegrini-spettatori a non soffermarsi troppo. Il mausoleo di Lenin è vero e proprio monumento in cui si va in pellegrinaggio perché se gli zar erano i vicari di Dio, i capi supremi bolscevichi erano i vicari del comunismo.

L’idea di far imbalsamare Lenin fu di Stalin, che in gioventù aveva avuto una formazione da seminarista e ben conosceva il potere che le reliquie esercitano sul popolo. Fu lo stesso Stalin, in seguito, a impersonare l’onniscenza e l’infallibilità del capo comunista, il dogmatismo del Partito e la caccia agli eretici, tutti concetti di origine cristiana, ma che ben si adattavano alla nuova struttura dello stato. Il marxismo alla russa insomma, altro non fu che la reinterpretazione del messianismo locale.

L’idealizzazione dei vecchi leader politici non è roba passata, ma è più che mai attuale. Al fine di offrire un punto di riferimento a una società, ormai distratta dai nuovi valori della globalizzazione, il Cremlino fa oggi leva sul patriottismo. Si esaltano i fasti del grande impero tramontato tralasciando i lati meno edificanti, come le deportazioni nei gulag e le file per il pane. Si ricordano i grandi leader dal pugno di ferro e le grandi conquiste, per comporre, tassello dopo tassello, un mosaico di immagini approssimative tratte da un confuso passato idealizzato.

Stalin, tanto per fare un esempio, è salito in gradimento nei sondaggi degli ultimi anni, in cui viene ricordato più per la gloria degli anni addietro che non per i crimini commessi. Oggi la sua faccia da bonario nonno baffuto la si ritrova stampata sulle calamite dei negozi di souvenir, dimostrando ancora una volta la tendenza russa a mitizzare i leader del passato.

dsc_1825pSembra che da queste parti tutto si possa perdonare ai politici tranne il peccato mortale di non dare alla Russia la gloria di grande potenza che i suoi abitanti pensano meriti. Da qua la bassa stima che il russo medio riserva a Gorbaciov, personaggio che nella sinistra europea gode invece di rispetto. La sua colpa fu di aver contribuito a distruggere un sistema senza essere stato in grado di crearne un altro altrettanto funzionante e glorioso. Bisognava dargli tempo, sostengono in Occidente, ma poi è successo quel che è successo e nel paese hanno finito per trionfare leader dal polso duro.

I moderati sono troppo “morbidi” per un paese come la Russia? Forse sì, visto che Putin riscuote ancora un certo successo e non solo entro i confini del paese. Parlando con i russi ho comunque riscontrato pareri fortemente contrastanti a riguardo. Alcuni affermano che Putin è sostenuto per lo più da persone ignoranti che abitano fuori dai grandi centri abitati e che non dispongono di altro mezzo di informazione se non la televisione. Altri dicono invece che il presidente è ciò di cui la Russia ha bisogno: “almeno ha riportato nel paese ordine e crescita economica” e soprattutto, aggiungerei io, gli ha scrollato di dosso l’immagine di un paese alla deriva restituendo invece il suo status nel mondo: l’immagine di una grande potenza che quando serve alza la voce e mostra i muscoli.

Il sincretismo sciovinista di questa linea politica incentrata sul nazionalismo tutto sommato funziona nel tenere insieme un paese traumatizzato da una lunghissima serie di eventi storici con i quali non è affatto facile fare i conti. Dal brutale impero zarista alla guerra civile tra bianchi e rossi, passando per la Rivoluzione d’Ottobre e gli sconvolgenti settantatré anni di sovietismi fatti di tessere annonarie, miti, deportazioni, guerre, glorie e decadenza, la Russia in un solo secolo ne ha viste di tutti i colori. Oggi è un paese aperto al libero mercato e sottomesso con incosciente entusiasmo al capitalismo galoppante.

Dopo tutti questi drammatici cambiamenti, dopo gli sforzi compiuti per costruire un grande sogno, le cocenti delusioni, la caduta di così tanti miti e ideologie, anche qua gran parte della popolazione vuole solo guardare altrove. La gente, forse spinta da un suicida istinto fatalista, tende sempre più a disinteressarsi alla politica, che è percepita come qualcosa quasi di astratto, lontano dalle incombenze quotidiane delle persone. L’uomo comune, disilluso e stanco, finisce con l’abbandonare la politica. Dopo tanta fatica, dopo tante delusioni, dopo tante favole, desidera solo riposare e distrarsi un po’. Non importa con cosa, basta che funzioni, che sia un’evasione dalla realtà. Nulla di nuovo, è la stessa cosa che succede anche da noi. Ma è proprio in quel momento, quando rinuncia, abbindolato da distrazioni e falsi problemi, che l’uomo comune perde.

dsc_0363p

Comunismo e consumismo

Non si può pensare alla Russia senza tenere conto del suo ingombrante passato comunista. Settantatré intensi anni di Unione Sovietica non si cancellano con la caduta di un muro.

Ancora oggi infatti la capitale russa pullula, suo malgrado, di retaggi legati all’Urss, sovietismi che un occhio attento scorge dappertutto. Il socialismo emerge nei piccoli dettagli lungo le strade; fregi con la falce e il martello decorano i muri, stelle rosse ornano gli edifici, gigantesche pitture raffiguranti fieri operai stacanovisti ricoprono le facciate delle case e gli onnipresenti fasci di grano stanno lì a ricordare che c’era cibo in abbondanza per tutti, anche se in realtà era razionato e bisognava fare interminabili file per ottenerlo.

Quella delle esasperanti code per accaparrarsi i beni di prima necessità fu un’istituzione nella vita quotidiana dell’homo sovieticus perché se è vero che la Russia è sempre stata una grande potenza, è altrettanto vero che si trattava di una potenza “povera” che destinava i maggiori investimenti nel campo militare, nell’industria pesante e in quella aerospaziale. I piani quinquennali non prevedevano lo sviluppo del settore dei consumi e alla popolazione erano riservati pochi, razionati beni di qualità scadente. Lo Stato era l’unico dispensatore ufficiale di cibo e beni primari e, per averli, i cittadini dovevano mettersi in fila, cosa che oggi tutti ricordano con grande antipatia.

dsc_0393p

Bisognava stare ore in coda anche per il pane. Era uno strazio!” mi dice Nadya, una ragazza con cui faccio conoscenza a San Pietroburgo.

Magari c’era anche un lato positivo nello stare sempre in fila: si poteva socializzare, chiacchierare con le persone” le faccio notare io con il mio ottimismo per nulla russo mentre passeggiamo lungo Nevky Prospekt. Si ferma e mi guarda sorpresa. “Dici sul serio? Sì, forse – dice pensosa – Ma prova a stare in fila ogni giorno della tua vita per ottenere un qualsiasi bene di consumo. No, se lo avessi vissuto non credo che avresti trovato un lato positivo” conclude infine Nadya, che del periodo sovietico conserva solo qualche labile ricordo di bambina.

Al termine delle file i russi dovevano presentare le kartochki, le tessere annonarie del razionamento stampate su un pezzo di carta diviso in tagliandi mensili che davano diritto ai generi alimentari. Accanto al mondo delle kartochki però, coesisteva furtivo e nascosto, anche il mercato nero portato avanti con spiccato senso del commercio dai meshochniki, i trafficanti di generi alimentari che facevano da intermediari abusivi tra le campagne e le città o che semplicemente lavoravano nei depositi alimentari a cui attingevano liberamente.

Al collasso dell’Urss seguirono anni di insicurezza e il governo Eltsin gettò la Russia, ancora impreparata al grande evento dell’apertura economica, nel libero mercato. Tra il 2000 e il 2013 grazie a una ritrovata stabilità politica, la classe media crebbe a ritmi esponenziali: se nel 2000 rappresentava solo il 10% della popolazione, nel 2013 quel numero salì a 55.

Oggi i russi, nonostante le sanzioni del 2014 per la questione ucraina che hanno contribuito a fiaccare il rublo e indebolito il potere d’acquisto, restano dei fan sfegatati del consumismo. La difficoltà a reperire alcuni prodotti occidentali non li spaventa, anche se infastidisce non poco la Germania, che poteva contare su una buona fetta del mercato russo, e i produttori del tanto amato cibo italiano; trovare del vero parmigiano nei supermercati è un’impresa impossibile.

Anni di rigore comunista hanno provato a trasformare l’uomo russo in homo sovieticus, una “razza” dedita al lavoro e alla gloria, educata a esaltare uno stile di vita spartano e a disprezzare il desiderio di accumulare beni. Ma sembra che tanta frustrazione consumistica sia oggi sfociata in un’esacerbata passione per gli acquisti, una mania del consumismo forse addirittura più compulsiva di quella da cui siamo afflitti in Occidente. “Che cosa succede se sostituisci l’eroico verbo sovietico dostat (procurarsi) con il banale kupit (comprare), termine quasi mai usato ai tempi dell’Urss?” si chiede Anya Von Bremzen nel suo splendido libro “L’arte della cucina sovietica”.

dsc_0504pNonostante ogni angolo di questa enorme città sia pregno dei fasti del passato socialista, Mosca è una metropoli in perenne lifting in cui si susseguono centri commerciali, elegantissime boutique e locali alla moda. Il panorama mondano moscovita non ha nulla da invidiare a quello delle altre grandi città occidentali e la capitale russa è piena di ristoranti per tutte le tasche e di interessanti cafè che spuntano ovunque in centro.

Ne è passato di tempo da quando Lenin, che portava avanti un regime alimentare ai confini dell’ascetismo, condannava come “borghese”, e dunque inaccettabile, l’aspirazione a mangiare cose gustose. Di quella cultura austera, in cui l’idea di piacere era bollata come degenerazione capitalista e in cui il cibo era considerato semplice carburante, non è rimasto nulla, se non qualche monumentale traccia del glorioso passato sovietico.


Una di queste, probabilmente dell’esempio più maestoso, si trova alla periferia nord della capitale. Si tratta del Vdnkh, ovvero il Centro Espositivo di tutte le Russie, un immenso parco che in tutto il suo realismo socialista celebra il sogno sovietico del federalismo. Tra i padiglioni con i nomi delle repubbliche sovietiche incise sui frontoni, spicca una maestosa fontana con 16 fanciulle dorate abbigliate in costumi esotici, ognuna delle quali porgendo i propri doni, rappresenta le ex repubbliche.
La fontana era il simbolo di quell’imperialismo ben occultato che all’epoca veniva eufemisticamente chiamato “Amicizia dei popoli” e voleva celebrare la diversità etnica dell’Urss.

A pochi passi dal Vdnkh, la trionfale statua dell’operaio e kolchoziana si staglia altissima contro il cielo sorretta da un massiccio piedistallo. Stando ai piedi di questo monumento devo ammettere che ho provato una qualche indefinibile emozione, forse per la sua imponenza. O perché con le sue linee dinamiche, luccica alla luce dolce del tramonto. Forse perché sopravvive come un’anacronistica reliquia in questa città oggi fedelmente votata al consumismo più narcisistico. O forse solo perché rappresenta la sintesi perfetta di quell’ideale socialista, finito per frantumarsi sulle barriere dell’inarrestabile natura umana.

senza-titolo-1p